Le Sacre Spine

Le reliquie preziose, delle Sacre Spine, rappresentano un tesoro inestimabile per la diocesi di Ariano Irpino-Lacedonia. La millenaria tradizione e il forte culto dei devoti arianese hanno messo in rilievo l’aspetto tradizionale e taumaturgico.

Oggi di spine sacre se ne contano a centinaia. Monsignor Giovan Battista Alfano, nella sua opera Sante Spine della Corona di Nostro Signore Gesù Cristo, del 1932, ne ha citate 110, presenti nelle sole chiese italiane.Tra le più conosciute sono quelle di Santa Croce in Gerusalemme a Roma, che la tradizione vuole siano state donate da sant’Elena; le Sacre Spine di Fermo; quella venerata nella Cattedrale di Andria, dono alla città pugliese di Beatrice d’Angiò, figlia di Carlo II.

E’ notorio che le Spine di Ariano Irpino, secondo la tradizione furono probabilmente donate da Carlo D’Angiò, nel sec. XIII e che custodite in un artistico reliquiario del sec. XIII-XVI sono dello stesso ceppo di quelle di Andria, quest’ultime furono assegnate in dote alla figlia Beatrice d’Angiò sposata con il conte di Andria Bertrando del Balzo nel 1308.

Nella diocesi di Andria si è celebrato l’anno giubilare del perdono “Memoria Passionis”. E’ stato accertato dalla chiesa il fenomeno inspiegabile dell’arrossamento della punta delle spine, dove sono osservabili tracce di sangue.

Andria, inoltre, possiede l’insigne reliquia della Sacra Spina (una spina che porta tracce di sangue che si ravvivano nell’anno in cui il Venerdì Santo coincide con l’Annunciazione del Signore – 25 marzo -). Il fenomeno è avvenuto negli anni 1910, 1922, 1932, mentre quello presunto di Ariano il 25 marzo 1932, anche nel giorno del 25 marzo 2005 si è ripetuto il prodigioso evento del arrossamento e dell’inverdimento della medesima.
Si auspica un gemellaggio tra la nostra diocesi e quella di Andria, la storia, la devozione, lo stesso antico officio accomuna questa due chiese locali.

Il culto

Le Spine di Ariano incastonate in una turrita meravigliosa scultura argentea, in due ampolle di cristallo, tripartita, con decori di gigli di Francia, presenta la struttura inferiore ogivale sostenuta da due angeli e l’altorilievo dell’ecce-Homo, lo stemma della città di Ariano sec. XVII. Colpisce per la bellezza anche le immagini dei Santi Patroni Elzeario e Beata Delfina. Il reliquiario presenta delle analogie stilistiche con le guglie della Sainte Chapelle di Parigi.
Le sue spine la lunga di 6 cm e la piccola di 5.5 cm sono dure, di colore avorio, eccetto la punta che è nera.
Il reliquiario è stato concepito come un ostensorio , decorato da festoni e figure sacre, le spine sono racchiuse in due cilindri di cristallo. E’ probabile la manifattura di maestri argentieri napoletani.
La popolazione arianese ha sempre custodito la forte devozione, affiorano nel medioevo le processioni penitenziali che dalle contrade e specie dal santuario di S. Liberatore, “con il capo coperto da corone di edera e di biancospino, in tempo di calamità, di prolungata siccità o di abbondanti piogge, giungevano in cattedrale, dove erano esposte le S. Spine, invocando la pioggia ristoratrice o il sole benefico”.
Intonavano laudi e canti religiosi.


Resta un mirabile frammento :


Spina pungente
ca pungisti lu miu Signore

Pungimi stu core
E pirdona lu piccatore.
Pirdona mio Dio
Perdona pi pietà e
Lu dono ca fece Cristo a
La santissima Trinità.

Il Vescovo di Ariano, l’agostiniano Fra Luigi Morales (1659-1667) nel 1660 rispose al vicere conte di Pignorando di non poter accogliere la richiesta del dono di una spina perché il popolo e “assai geloso di questo sacro tesoro e avrebbe potuto crerare tumulti”.


Le Spine erano custodite già nel 1517 epoca della “confezione della Platea Urbana et foranea del Vescovo, futuro cardinale, Diomede Carafa e conservata ab antiquo nella tesoreria della cattedrale arianese.


Nel sec. XVII i vescovi Ottavio Ridolfi (1613-1624) e Paolo Caiazza (1624-1641) in diverse occasioni portarono a piedi nudi il reliquiario delle S. Spine nella chiesa di S. Angelo per implorare la divina misericordia.
Solo nel 1737 fu costruita la cappella delle S. Spine, voluta dal Vescovo Mons.Tipaldi dove troneggia una bellissima tela Cristo coronato di spine. La festa in tempo pasquale era celebrata nella II^ domenica dopo la resurrezione, con recita dell’Officio proprio.


Ad istanza del vescovo di Ariano nel 1850 la congregazione del Sacri Riti concesse la conferma dell’officio proprio diocesano, il quale riprende l’ufficio proprio delle S. Spine concesso,nel 1723, al Duomo di Napoli, la cui recita fu poi estesa alla Cattedrale di Andria e di Ariano.


Nel XVIII secolo, il vescovo arianese Filippo Pirelli, durante la S.Visita, volle prendere dalla base della seconda spina alcune frammenti, uno di questi fu donato alla famiglia Vitoli di Ariano , dove attualmente è custodita, nella cappella privata, in un piccola teca di cristallo insieme ad altre reliquie.

La leggenda.

Da un manoscritto proveniente dalla famiglia Pisapia, donato al Museo civico di Ariano, attribuito allo storico Vitale , del sec. XVIII, si apprende che un pellegrino proveniente dalla Terra Santa abbia fatto una sosta ad Ariano, non riusciva proseguire il suo viaggio, a causa di una forza misteriosa che lo costringeva a non riprendere il cammino. Questi portava nascosto gelosamente custodito nella bisaccia un prezioso deposito: tre S. Spine. Il pellegrino volle aprire il cuore rivelando il suo segreto al Vescovo di Ariano. Alcuni dubbiosi non vollero credere all’autenticità delle sacre reliquie , pretesero la prova del fuoco.

Due Spine rimasero intatte, mentre la terza si bruciò. Da allora le Spine furono portate trionfalmente nella cattedrale e custodite con venerazione dalla chiesa arianese. Altra tradizione era quella della processione nella domenica dopo la 2^ domenica dopo l’Assunzione di Maria, veniva portato il processione il reliquiario delle S. Spine, sopra un altare portatile in Piazza Grande, veniva fatta la benedizione propiziatrice per la città e diocesi da parte del Capitolo della Cattedrale.

Gli anziani ricordano con commozione che in ogni ostensione del reliquiario delle S. Spine, tutte le calamità naturali cessavano all’istante, dopo che folle di pellegrini, donne con corone di spine e fiori, in processioni penitenziali da ogni contrada convergevano verso la cattedrale arianese.

Alla fine di queste poche note vogliamo dare un omaggio alla profonda devozione del poeta sacerdote Pietro Paolo Parzanese. Il nostro cantore della “memoria passionis” e della “croce salvifica “, volle invocare nei celebri panegirici del 1832, del 1847, e del 1849 la divina provvidenza per le provate genti irpine, di riportare Cristo al centro della propria vita e via per il riscatto e la salvezza. Meriterebbero un ripubblicazione per l’attualità.
“Ariano mia culla, e , se il ciel mel concede, mia sepoltura, esulta di santo gaudio, e di celeste sorriso ti allegra. Balzino per letizia, come sciolti arieti,i tuoi colli, le tue valli echeggino di festivi clamori. … Padre dei cieli, il tuo popolo invoca; egli t’offre in olocausto queste spine tinte nel sangue del tuo Figlio, e sarà lieto, se ascolterà queste voci intuonate altra volta per Osea: Soepiam vias tuas spinis, et sponsabo te mihi in sempiternum”. (Panegirico s. Spine, 1832).

Le Sante Spine
Sonetto di P. P. Parzanese

Lasciando il trono ove sedesti eterno,
Venia vestito dell’umana spoglia,
E l’alte porte a debellar l’inferno
provò d’acerba morte immensa doglia.
Fero dal capo Santo aspro governo
Acute Spine, e a lacrimar ne invoglia,
Vedendole calcar sul capo a scherno,
Da chi già l’alma di pietade spoglia.
Ei ebbe un dì la fronte redimìta
E una mortale angoscia il cor prendea
Entro la Spoglia lacera ed attrita.
Ma a noi fu gaudio il suo dolor atroce.
Vinse soffrendo, e a noi l’alma si bea
Nel poter della spina e della Croce.
(Ms. di Parzanese, in Archivio Museo Civico di Ariano.

In questa lirica sono espressi con forte intensità sentimenti e fede autentica verso le S. Spine. Da lontano viene l’eco delle folle di fedeli arianese che in ogni circostanza hanno espresso il loro forte legame alle S. Spine, ed il valore taumaturgico delle svariate ostensioni avvenute nel passato in occasione di calamità naturali, siccità, con invocazioni per le attese piogge risanatrici dei campi e dei raccolti.

Al Vescovo Mons. Giovanni D’Alise è affidata il plurisecolare dono e della tradizione, che purificate dalla memoria possa essere riconvertita e valorizzata a pieno titolo la dimensione teologica e pastorale della memoria della Passione di Cristo unico redentore del mondo.